Miela Reina, all’anagrafe Maria Francesca, nasce a Trieste il 31 agosto 1935.
È la secondogenita di Giuseppe, provveditore agli studi (Palermo 1884 – Trieste
1945) e Aurelia Cesari, giornalista (Trieste 1895 - 1974).1 Miela stessa racconta
la sua infanzia in un’intervista a Dino Dardi, che ne restituisce un breve schizzo
quasi psicologico:
I ricordi d’infanzia di Miela Reina […] sono avvolti in un’atmosfera particolare.
È quella di un piccolo borgo siciliano, Chiusa Sclafani, in provincia di
Palermo, dove per molti anni si reca a trascorrere le ferie estive in compagnia
dei parenti. Un’atmosfera un po’ allucinata: incendiata di giorno da un sole
africano e greve di penombre la sera. Di notte un alto silenzio fascia la casa
isolata fra orti e campicelli, ma è un silenzio teso che par sempre celare
un’insidia. […] la bambina riporta una sensazione vaga di paura: quella stessa
che prova di giorno quando s’incammina per i sentieri solitari che si snodano
nella roccia e dove pare che dietro ad ogni svolta qualche cosa attenda in
silenzio. […] Radi i passanti: uomini silenziosi, arsi dal sole, dai capelli crespi
e dallo sguardo lucido e donne dal passo lieve che sfiora appena la terra,
vestite di nero: Miela apprende che in quelle contrade il lutto si prende al
primo morto e poi dura tutta la vita perché altri morti seguono presto. Anche
i bambini recano il lutto e a vederli così neri intenti ai loro giochi, ridere e
scherzare, la bambina prova un’impressione strana come per l’incombere di
un’oppressione. E dentro la casa – le cui persiane di rado si aprono – vecchie
signore – le nonne e le zie – si aggirano continuamente per stanzoni enormi
dove la penombra pare essersi solidificata da tempo immemorabile e nelle
cui pareti s’aprono usci misteriosi che alla bambina è proibito varcare. Il
nonno – medico condotto del paese – trascorre intere giornate dipingendo
enormi affreschi sulle pareti quasi tutti riproducenti in atteggiamenti diversi
l’immagine di San Francesco. In quell’atmosfera la figura del Santo assume
aspetti spettrali e tali sono le sue dimensioni che Miela oggi ne ricorda soprattutto
i piedi col rosso vivo delle stigmate. Avviene così che quando a
sera si corica in un letto troppo alto e troppo ampio per lei, tiene per ore gli
occhi spalancati nel buio. E tuttavia quest’atmosfera che pure la sospende
in una continua tensione, esercita su di lei uno strano fascino, tant’è vero
che quando ritorna a Trieste – dopo un primo tempo in cui le pare di sentirsi
liberata dall’oppressione – è ripresa dalla nostalgia. […] A quel tempo ha già
cominciato a disegnare: casette, carrettini siciliani, singolari e strambe figure
di uomini. Sono disegni minuti, curati pazientemente nei minimi particolari,
ma i quali però non riproducono immagini che nascono nella sua fantasia:
la bambina è intenta a sorprendere il mondo che la circonda e si sforza di
riprodurre ciò che vede e ciò che più la colpisce.2
Miela da bambina ha già uno stile personalissimo e inconfondibile: Gillo Dorfles
la paragonerà a Mozart per la sorgività immediata e precocissima della sua arte.3
Vince nel 1951 e nel 1953 il concorso per il manifesto delle prime due edizioni
del Festival Nazionale dei Ragazzi.4
Sostenuta e incoraggiata dalla lungimiranza della madre, inizia ben presto a
viaggiare. A 17 anni, assieme alla cara amica Erica Burger, viaggia per due settimane
a piedi e in autostop nella Val di Zoldo: un’esperienza che, per gli anni in
cui si svolge, denota un notevole spirito di autonomia.
Studia a Trieste fino alla maturità classica conseguita al Liceo Dante nel 1954.
Al momento di scegliere il corso di studi universitari la vocazione per la pittura
la induce a scegliere l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Vi si può iscrivere
solo dopo aver superato, a Venezia, nell’anno successivo, la maturità artistica
da privatista, e l’esame di ammissione. Per prepararsi a queste prove si iscrive
nell’anno 1954-1955 alla Scuola libera di nudo annessa al Museo d’arte Revoltella
di Trieste, riportando ottime votazioni.5 Frequenta l’Accademia di Venezia dal
1954 al 1959, corso di decorazione, sotto la guida del maestro Bruno Saetti e
del suo assistente Riccardo Schweizer, affiancato successivamente da Carmelo
Zotti. Ricorda Luciano Semerani:
Il talento naturale di Miela incontra ufficialmente la pittura all’Accademia
di Belle Arti di Venezia dove tiene cattedra il bolognese Bruno Saetti.
Nelle prime opere della nostra amica lampeggiano i cromatismi succosi del
maestro ma, contro la monotonia di quei tramonti, di quelle nature morte,
così compiaciute, si innervosisce subito la Nostra, attratta piuttosto dai
due assistenti di Saetti, il dalmata Carmelo Zotti, monumentale, tenebroso,
materico, e il montanaro Riccardo Schweizer, che ha portato la tradizione
trentino-tirolese dell’affresco dalle parti di Antibes, dove ha conosciuto
Picasso, il Picasso di Guernica. Questo per dire che la pittura di Miela, fin
dalle origini, è figurativa e intesa alla narrazione epica nella scelta dei temi,
nel taglio compositivo, nella forza del gesto che impone alla tela, alla carta,
al legno di ospitare un’immagine.6
NOTE
1.
In famiglia si racconta che
da bambina si rifiutava di
rispondere se chiamata col
nome di Maria Francesca,
finché un giorno la sorella
Ida, che stava mangiando
mela e miele, non esclamò
“Miela”, ottenendone
l’attenzione. La mamma,
attenta osservatrice, pensò
che la avrebbe chiamata
così d’ora innanzi.
2.
D. Dardi, Incontro con
i giovani: Miela Reina,
dattiloscritto, con nota
a margine Radio Trieste
1960, Trieste, Archivio
della famiglia, 1960, s.p.
3.
Si vedano ad esempio i due
disegni intitolati Durante
la pertosse realizzati a
cinque anni (Miela Reina,
a cura di P. Bonifacio,
Mazzotta, Milano 1999, pp.
69-70, figg. 1409-1410).
4.
Se non diversamente
indicato, le informazioni
sono tratte da
documentazione
manoscritta, dattiloscritta,
fotografica e a stampa
conservata nell’Archivio
della famiglia.
5.
Pagella di fine corso
conservata nell’Archivio
della famiglia, Trieste.
6.
L. Semerani, Intersezioni,
intersecazioni, incastri,
contaminazioni, collages.
Paracadutisti, pianisti,
pittori e/o musicisti, in Miela
Reina, 1999, cit., p. 48.