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Nel mondo globalizzato la quantità ha emarginato la qualità. Regna il “quanto”, che misura la nostra (in)felicità. Il “quando” (il tempo opportuno dell’incontro), il “perché” (la domanda del desiderio), il” come” (le strade da percorrere) e il “dove” (il luoghi dell’incontro) subiscono la sua feroce sovradeterminazione nei rapporti di scambio, sempre più ineguali e inariditi.
L’ineguaglianza degli scambi determina i movimenti migratori, li costituisce come sradicamento totale, esilio senza sogno. Chi governa dovrebbe avere il coraggio di dire ai cittadini che far spazio, donare in modo unilaterale, non è impoverimento, né sacrificio. È un investimento per il futuro loro e dei propri figli, crea le condizioni per essere ricambiati, quando lo scambio sarà diventato possibile. L’unico modo per proteggere da smottamenti catastrofici un mondo sempre più in movimento e irrequieto, e renderlo vivibile.
Non si può abitare nell’estraniazione, privi della possibilità di un incontro. Il gesto folle del terrorista suicida, il tentativo di un riavvicinamento impossibile, ci informa che arriviamo troppo tardi all’appuntamento con l’altro incontriamo solo la morte. L’indifferenza affettiva genera una violenza distruttiva invisibile che cancella le radici dei nostri legami con la vita. L’Isis la rende concreta, visibile. Pensare solo a come estirpare Isis, la metastasi di un cancro terribile, fa crescere indisturbato al timore primario che alloggia nell’Occidente.