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L’epoca contemporanea è caratterizzata dall’insicurezza e dal rischio quali elementi salienti della globalizzazione. Non è un caso dunque che si stiano manifestando sempre nuovi focolai di autoritarismo e di rassicurazione basati su forme di sovranità e di potere monocratico. Il soggetto ha paura dell’altro, anche se “altro” è lui stesso, basti pensare all’inconscio oppure al fatto che non sappiamo gran parte di ciò che facciamo e crediamo di sapere. Ma l’Altro può divenire anche un’invenzione simbolica, una proiezione oggettiva sulla quale scaricare la nostra violenza come se fosse un capro espiatorio.
Quest’ambiguità di fondo sembra caratterizzare quasi tutti quei meccanismi sociali che hanno uno scopo difensivo nei confronti della nostra supposta identità. La tragedia greca funzionava in questo senso come rappresentazione di questa ambiguità e dei continui conflitti tra i diversi piani di trascendenza costruiti dalla società ateniese del V° secolo a.c.. Per certi aspetti similmente, se il web sembra svolgere una funzione protettiva illudendoci di vivere all’interno di una comunità illimitata, nel suo meccanismo immunologico s’insinua un ulteriore rischio: l’illimitatezza della comunità può trasformarsi nel pericolo dell’indifferenziato e necessitare quindi di ulteriori griglie difensive. Con la tecnologia del web, insomma, la tragedia può “divenire-reale”, così come il comico, da iniziale meccanismo di “presa di distanza” rispetto a delle situazioni contingenti spiacevoli, può finire per occupare l’intero spazio sociale facendo di qualsiasi verità una “post-verità”.
Uno dei modi in cui storicamente, se non proprio evolutivamente, l’uomo si è garantito nei confronti della communitas è d’altronde il “potere” e, quindi, una forma “forte” di padronanza: potere politico, religioso o dinastico che sia, esso invero occulta una zona oscura di “impossibilità” o addirittura di “impotenza”.
Beppe Grillo e Donald Trump non a caso hanno ottenuto un inatteso successo politico. La loro comunicazione e i loro atti sono autoritari, gerarchici, settari, para-religiosi, e, con tutto il loro annesso immaginario, innescano un esoterismo che non solo è esattamente opposto all’originaria aspirazione della rete, ma nello stesso tempo implica un meccanismo di assoggettamento e di sistematica subordinazione. La verità non è più tale ma post-verità; la democrazia, la scienza, la giustizia non sono che forme specifiche di rito, simbolico quanto fittizio; e il web diviene così quell’immenso ricettacolo in cui agiscono fedi, credenze, superstizioni, suggestioni collettive, ma nel quale pure si manifestano la violenza e l’ira nelle forme più cruente e sacrificali.