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In questa provocante raccolta di saggi, Ulrich Beck, noto sociologo e politologo, sostiene la necessità di ricercare nuovi punti di riferimento per comprendere la società globale del rischio in cui ci troviamo a vivere oggi. L’autore delinea gli aspetti ecologici e tecnologici del rischio e le loro implicazioni sociologiche e politiche discutendo e rispondendo ad alcune delle critiche evocate dalle sue famose opere sulla società del rischio. Secondo Beck, la società odierna è governata da una “politica globale” inesistente fino a pochi anni fa e tale fenomeno va esaminato nei termini della dinamica e delle contraddizioni di una società globale del rischio. Partendo da tale presupposto, i suoi saggi si interrogano su diverse questioni: che cos’è l’ambiente? Cosa la natura? Lo stato naturale? L’essere umano? Interrogativi che vanno affrontati in un contesto transnazionale, anche se le risposte che si ottengono sono elusive. I saggi contenuti in La società globale del rischio costituiscono le basi del “Manifesto cosmopolitico”di Beck, concentrato sulla dialettica tra questioni globali e locali che non rientrano nella politica nazionale. Riconoscendo che la diversità, l’individualismo e lo scetticismo sono caratteristiche proprie della nostra cultura, possiamo gettare le basi di una nuova coesione sociale, di un nuovo cosmopolitismo in cui l’incertezza creativa della libertà sostituisca la certezza gerarchica della differenza. Con questa decisiva raccolta Beck incoraggia una sperimentazione politica tesa a creare una moralità globale di condivisione del rischio che, nel futuro, potrebbe dar vita a potenti movimenti cosmopolitici.
In tutto il mondo, la società contemporanea sta subendo un mutamento radicale che rappresenta una sfida per la modernità fondata sull’Illuminismo e dischiude uno spazio in cui le persone scelgono nuove e inattese forme del sociale e del politico. I dibattiti sociologici degli anni Novanta hanno tentato di afferrare e concettualizzare questa riconfigurazione. Alcuni autori, che adottino quale principale termine operativo quello di “postmodernità” (Bauman, Lyotard, Harvey, Haraway), di “tarda modernità” (Giddens), di “era globale” (Albrow) o di “modernizzazione riflessiva”, pongono tutti grande enfasi sul carattere di apertura del progetto umano tra le nuove contingenze, complessità e incertezze. Altri danno priorità alla ricerca sulle nuove forme di identità (Melucci) e di socialità sperimentale (Maffesoli), sul rapporto tra individualizzazione e cultura politica (Touraine), sulla “costellazione postnazionale” (Habermas) o sui presupposti della “democrazia cosmopolitica” (Held). Altri ancora hanno prodotto tutta una serie di libri sulla “politica della natura” (Vandana Shiva, Gernot Böhme, Maarten Hajer, John S. Dryzek, Tim Hayward, Andrew Dobson, Barbara Adam, Robin Grove-White e Brian Wynne) e tutti concordano sul fatto che nei decenni a venire ci troveremo di fronte a profonde contraddizioni e a ingarbugliati paradossi – e proveremo speranze ammantate di disperazione.