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Nell’epoca attuale ci siamo avvicinati troppo al reale, proprio quando credevamo d’aver escogitato quell’apparecchio che lo teneva bene a distanza, estremizzando i processi di razionalizzazione e simbolizzazione, sistematizzando ogni aspetto dell’esistenza umana. Ora il reale s’è fatto all’improvviso vicino; è presso di noi; è con noi. Iniziamo così ad aver orrore di noi stessi; tutto ciò che ci circonda — la realtà sociale, la tecnica, la natura addomesticata dall’agrimensura, la medicina, etc. — è una finzione che doveva proteggerci dall’incontro traumatico con il non-senso: adesso abbiamo scoperto che man mano sospingiamo il reale all’esterno, ne introiettiamo pezzi sempre più ampi. L’ultima sfida si compie proprio con l’esclusione o lateralizzazione della dimensione spazio-temporale: immerso in uno spazio e in un tempo infiniti, l’uomo tenta di eternizzarsi e di estendersi indeterminatamente, ma ciò facendo sottrae “carne” al proprio senso, diviene ancora più insensato abbandonandosi — in questo caso sì, “nichilisticamente” — all’inesistenza ansioso-depressiva.
Questo libro, dunque, si pone il compito improbo di parlare o, perlomeno, di convivere con questi quattro fatti: 1) noi, in quanto uomini razionali, siamo immersi in una serie indefinita di orizzonti finzionali, viviamo continuamente cioè in una sorta di fiction televisiva; 2) la finzione in se stessa “finge” di essere il reale che cerchiamo di controllare e dal quale continuamente ci proteggiamo; 3) il simbolico non è il solo elemento a fingere, ma il reale stesso nella sua totalità, paradossalmente, “finge”, ovvero anche l’idea di un livello “assoluto” al di là di ogni simbolizzazione umana costituisce un coup de théâtre del reale stesso, nella misura in cui il senso e non-senso alla fine tendono a identificarsi; 4) tutto ciò (in particolare la finzionalità del simbolico e l’isomorfia tra simbolico e reale) è ancora il ri-flesso di una finzione, ovverosia l’idea echologica che il senso sia commisto con il non-senso e l’idea che il tempo costituisca la marca traumatica di questa giunzione impossibile non può non essere che un’ulteriore teatralizzazione del senso stesso.