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Socrate è il primo dei filosofi. Facendo del linguaggio l’unico fondamento della sua logica e della logica, a sua volta, l’unico fondamento della sua dottrina, sviluppò una nuova concezione della virtù, della conoscenza, dell’anima e del suo destino futuro.
Ma, allo stesso tempo, come testimoniano tutti coloro che gli erano stati vicini, Socrate era uno stregone. Al pari delle formule degli sciamani di cui Claude Lévi-Strauss ha descritto l’efficacia simbolica, anche la sua parola era terapeutica. “Quanto bene ci ha quarito”, si meraviglia il suo amico Fedone.
Questo saggio, seguendo passo dopo passo lo sviluppo del discorso socratico, cerca di rispondere a tre questioni: 1. Di che male soffre l’anima dal quale la filosofia può sperare di guarirla?. 2. Come la logica può cicatrizzare la ferita della negatività e rimediare all’originaria malinconia umana?. 3. Socrate credeva nella verità di ciò che insegnava? E avendo riposto ogni attesa nella sua dottrina della verità, non ne aveva così fatto una sorta di logica della speranza?.
Nietzsche accusa Socrate di aver inventato la logica come un analgesico per assopire lo spirito tragico degli antichi Greci. Ma descrivendo il fallimento come congenito, e la malattia come incurabile, la prima filosofia di Platone non fa della tragedia la esperienza stessa del pensiero?
Se è vero che Socrate è stato una specie di sciamano, la filosofia non potrebbe esser stata che la lunga psicanalisi dell’Occidente?