Questo libro racconta l’esperienza di organizzazione dei riders bolognesi e la loro lotta per i diritti. Il testo spiega che non si tratta di processi nuovi, ma della radicalizzazione di tendenze del capitalismo contemporaneo che si manifestano da tempo. L’attacco ai diritti del lavoro e la sua precarizzazione sono costanti nel trentennio neoliberista. L’uberizzazione inizia infatti con i processi di outsourcing e tocca il suo apice con Uber e Deliveroo. Le piattaforme digitali operano una fuga dai diritti del lavoro e promuovono una narrazione per cui gli autisti piuttosto che i riders sono lavoratori autonomi. Il libro dimostra che i soggetti sociali, come i fattorini bolognesi, possono opporre resistenza a logiche di disciplinamento così pervasive. Dove le imprese promuovono isolamento, possono verificarsi fenomeni di cooperazione e organizzazione collettiva. Nella loro lotta i riders bolognesi hanno chiamato in causa la politica mettendo in evidenza il ruolo importante del decisore pubblico. La Carta dei diritti di Bologna e la possibilità di un intervento legislativo del governo per frenare la fuga dalla subordinazione sono esempi della possibilità di costituire regole per riequilibrare i rapporti di forza tra imprese e lavoratori.
La vicenda dei riders parla a tutto il mondo del lavoro. Il riconoscimento della subordinazione non c’è in molti call center, con i voucher, con le false partite iva. La sorveglianza digitale e i dispositivi di valutazione sono temi di interesse generale, mentre il cottimo sta ritornando in molti settori economici. La lotta dei riders, per queste ragioni, ha ottenuto una grande visibilità: è un paradigma di quanto avviene in tante periferie del mondo produttivo, tra sfruttamento e forme embrionali di organizzazione dei lavoratori.
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