Il saggio che il lettore avrà tra le mani prova a fare i conti con il fenomeno emergente in Occidente dei neopopulismi. Lo fa senza sconti, e al di là della banale contrapposizione fra denigrazione politico-mediatica di segno liberale-globalista e entusiasmi sovranisti, di destra o sinistra che siano. Il lettore tenga però conto di una doppia avvertenza: con il termine - il cui uso al posto dell’oramai inservibile populismo si chiarirà con il procedere dell’argomentazione - si intendono indicare le profonde dinamiche sociali in atto nei rapporti di classe in Occidente prima e più che i contenitori organizzativi che provvisoriamente le incanalano nel quadro politico-istituzionale; inoltre, siamo solo alla fase iniziale di un fenomeno che andrà incontro a ben altre metamorfosi.
Queste pagine — articolate in una fenomenologia delle reazioni sociali e politiche alla crisi globale e in una logica del neopopulismo — sono una rielaborazione e aggiornamento della terza parte del lavoro pubblicato sul finire dello scorso inverno, sempre per Asterios, I dieci anni che sconvolsero il mondo. Crisi globale e geopolitica dei neopopulismi. In quel libro si è cercato di proporre un’interpretazione complessiva della prima crisi capitalistica effettivamente globale, che ha investito in stretta successione il cuore della globalizzazione economico-finanziaria, gli assetti geopolitici mondiali e le dinamiche soggettive delle classi sociali fin dentro l’Occidente imperialista. E determinato quelli che finora sono smottamenti ma che con tutta probabilità diverranno in un futuro non così lontano sconquassi profondi dell’intero sistema.
Tenendo conto di questo quadro, il tentativo è quello di collocare i neopopulismi sul filo del tempo storico, in particolare passando attraverso l’intreccio dialettico tra il Sessantotto e gli assemblaggi della globalizzazione, dalla fase ascendente a quella di crisi. In gioco è la trasformazione non contingente della lotta di classe dalle forme novecentesche del movimento operaio classico a quelle attuali degli iper-proletari senza riserve in relazione ad una riproduzione sociale oramai completamente risucchiata all’interno dei meccanismi del capitale ma al tempo stesso da essi sempre più cannibalizzata. I neopopulismi ci presentano così forme di attivizzazione spurie, confuse e ambivalenti, ancora in fieri e prevalentemente elettorali e di opinione, dagli esiti aperti, che nella reazione a un globalismo al capolinea ma ancora in grado di produrre disastri sociali non vanno al momento oltre la rivendicazione di un cittadinismo e/o sovranismo sempre a rischio di ricadute nazionaliste. Esse segnalano la crisi dell’individuo neoliberale — e la morte della sinistra — seppur in parte sulla medesima base della meritocrazia dell’intelligenza rivendicata, però, non insieme ma contro i poteri globali. In questo senso, sono espressione di una prima rottura anche soggettiva dell’ordine esistente.
Il fenomeno, dunque, solleva domande cruciali e rappresenta un ineludibile terreno di confronto anche politico per chiunque rifiuti l’appiattimento sull’immaginario totalitario del capitalismo e sia ancora animato dalla domanda su una comunità possibile sottratta al dominio del profitto. Va da sé che l’intento di questo saggio non è accademico o semplicemente analitico ma, come si sarebbe detto un tempo, di critica militante. E, proprio per questo, alieno dall’edulcorare la realtà solo perché questa non si presenta nelle forme note o auspicate.
Un consiglio, per chiudere: la migliore integrazione-prosecuzione di quanto qui proposto è, credo, il saggio di Nicola Casale, uscito in questa medesima collana, sui gilets jaunes, nel quale si discute la prima esplosione di lotta di classe in Occidente sul terreno neopopulista.
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