Non ci sono libri nel tuo carrello.
0 Libri | €0,00 |
Fin dai primi giorni dell’allarme pandemia da covid-19 divenne comune, si sentiva e leggeva continuamente l’espressione «al tempo del coronavirus» o «l’epoca del coronavirus», addirittura «l’era del coronavirus» come per le età geologiche, si diceva che «non saremo più quelli che eravamo», che sta avvenendo «una trasformazione antropologica e nei nostri modi di vita». In queste espressioni è in gioco il tempo storico, l’entrare in una nuova età, e su tutti i versanti si cercava e si cerca ancora ansiosamente di delineare il nuovo assetto che sta prendendo forma. Ma questa ansia spingeva a domandarsi sull’epoca e soprattutto sul suo dopo in modo tanto più ansioso quanto più il fenomeno era incipiente. Tanto che un fenomeno curioso, per niente banale, nonostante spesso le sue espressioni semplificate nei media, è che l’ansia che spingeva a domandarsi sull’epoca e soprattutto sul suo dopo è stata tanto più irresistibile quanto più il fenomeno era incipiente. Infatti, il tema che si potrebbe chiamare «come sarà il mondo dopo il coronavirus» è stato centrale nella discussione mediatica, per certi versi addirittura più della cronaca dell’attualità (un’attualità angosciante, che ci si vuole giustamente lasciare alle spalle il più in fretta possibile, tempi sventurati che richiedono un oltre). Su questo fenomeno, il senso dell’epoca riacceso dalla pandemia, il senso di epocalità, la temporalità vissuta, che resta alla nostra contemporaneità si vuole interrogare il volumetto che propongo, e al tempo stesso intende costituire una critica di questo uso del concento di epoca, che costituisce una questione su cui riflettere proprio a causa dell’ansia, della fretta delle previsioni, più ancora delle diverse forme che esse prendono, più ancora della loro giustezza o della loro inevitabile parzialità e unilateralità; una riflessione di difficile accesso per uomini che s’intendono sempre posteriori al proprio tempo, uomini che si sono negativamente pensati come post-moderni, post-industriali, post-ideologici. Sorge il dubbio che si possa ritrovare nel nostro passato un’alternativa storica mai realizzata, mai riuscita, che continua a rendere vuoto e scuro, spettrale quell’oltre che la modernità aveva promesso.