VALIGIE DI CARTONE

Italiani sugli schermi e il cibo dell'emigrazione

Volume della collana PICCOLA BIBLIOTHIKI n. 74
Prezzo: €18,00 / Prezzo di listino: €18,00
INVIO SENZA SPESE e OMAGGIO UNO DEI DIARI&QUADERNI O VOLANTINI
Formato: 120X210, 176 pagine / Settembre, 2024 / ISBN: 9788893132770

La speranza di una vita migliore

Il giro del mondo dell’emigrazione italiana, in oltre 250 film, dagli anni Ottanta dell’Ottocento fino ad oggi. Occorre distinguere tra le varie periodizzazioni del fenomeno riferibili ai film a soggetto, ai documentari, agli audiovisivi realizzati dal cinema, dalla televisione o dai cinegiornali. L’immagine dell’emigrante è ovviamente diversa per l’intenzionalità della tesi e per il contesto storico-ideologico nelle varie epoche. I documentari USA, dal 1903 (durata di pochi minuti), mostrano le file e i volti all’approdo o all’uscita da Ellis Island. I film a soggetto americani dal 1906 al 1915 (anche di D.W. Griffith e di Thomas H. Ince) raccontano l’ambiente degli italiani a Little Italy: tra canzoni, cibo, gelosie e crimini dell’organizzazione la Mano Nera. Dal 1901 al 1913 gli ingressi a Hellis Island registrano il 91% di provenienza italiana, la sopravvivenza si trova nella domesticità della casa e della famiglia: nelle sue regole, nei suoi riti e nella sua cucina. Difatti, un popolo in terra straniera è visto con sospetto, il più delle volte disprezzato, si deve difendere attraverso luoghi e legami con la propria comunità: le panetterie, i caffè, le tavole calde e i primi ristoranti ad uso quasi esclusivo dei connazionali a rafforzare parentele e identità territoriali; solo in un secondo momento trovano avventori locali e soltanto le generazioni successive adatteranno le loro offerte gastronomiche ai gusti dei numerosi frequentatori autoctoni.

Dei 26 milioni di migranti (dal 1876 al 1976) solo poco più di 8 milioni rimpatrieranno. Saranno quasi il 9% della popolazione di New York, il 20% di Buenos Aires, il 35% di San Paolo. I nostri emigranti indirettamente fornirono l’occasione per la costruzione e la diffusione della ormai mitica dieta mediterranea, a partire dai tanti localismi di provenienza e soprattutto dalle abitudini alimentari trasmesse da una generazione all’altra in forma orale, col trinomio olio-vino-pane, seguito da quello della pasta. Tra miti, riti domestici e tradizioni, piatti e preparazioni varcano gli oceani da una parte all’altra e nella doppia direzione, diventando quasi storia.

 

Il primo film italiano è del 1915 (L’emigrante, Febo Mari) e ha già un tono dissuasivo. In quelli che seguiranno, fino all’epoca dei “Telefoni Bianchi”, si alterna la necessità della partenza – perché si deve scontare una colpa – alla visione della nostalgia e del desiderio di ritorno in patria. Con Chaplin, (1915, L’emigrante) Charlot tra il comico e il tragico coglie la triste condizione dell’emigrante. In seguito, il proibizionismo – dal 1920 fino al 1933 – l’emigrante italiano, ormai di seconda generazione, è diventato il pericolo pubblico nel genere film “gangster”. Filmografia lunghissima, tra le spire della Mafia o Cosa Nostra fino ai giorni nostri. Nei Cinegiornali dell’Istituto Luce durante gli anni Trenta, troviamo l’azione propagandistica del fascismo: con la conquista dell’Impero e le bonifiche, l’emigrante sarebbe dovuto diventare un colono, esaltando il ritorno di chi era lontano negli anni che preannunciano l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale. Nel Secondo dopoguerra le partenze nelle due direttrici, nei generi del melodramma o del drammatico, per chi espatria verso Argentina o il Sud America oppure verso le miniere di carbone di Francia e Belgio. Durante il Boom Economico, con già la nascente televisione italiana, si mostra l’emigrazione interna verso Torino e Milano, oppure verso la Svizzera o i paesi nordici (da Rocco e i suoi fratelli a Così ridevano da I magliari a La ragazza in vetrina da Pane e cioccolata a Spaghetti House). La Rai promuoverà numerose inchieste con TV7 (oggi in Rai Storia) affidando ad Alessandro Blasetti un’inchiesta in diverse puntate.

Audiovisivi e cortometraggi negli ultimi decenni hanno prestato attenzione, attraverso interviste nostalgiche, alle comunità che si sono formate all’estero ma anche a coloro che, ritornati, non riescono più a ritrovare le proprie origini nel mutato ambiente sociale. Negli ultimi anni l’emigrazione denominata “fuga dei cervelli”, cioè chi si è sentito abbandonato e deluso dall’Italia, corre lontano a svolgere un’attività economica (bar, ristoranti o terziario e sistema finanziario), oppure artistica o professionale. È finita l’epoca della nostalgia: non c’è più la speranza, ma la certezza di una vita migliore.

 

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