Della biografia di questo scrittore, giornalista e poeta, non sappiamo quasi nulla. Nato a Bordeaux nel 1828, scelse di vivere nella capitale per conquistare fama ed anche qualche titolo di nobiltà. La prima ricerca fu vana, la seconda più soddifacente, se facciamo credito alla copertina di alcuni suoi scritti più tardi, dove compeggiava il nuovo nome dell’autore: Ernest de Rattier de Susvalon
La sua produzione poetica fu attenta ai modelli classici, non al classicismo ancora alla moda, e i suoi libri affrontarono i temi più diversi, se guardiamo ad alcuni titoli quali Storia di un ermafrodita, raccontata da una libellula e Maschere e velette.
Bordeaux, il “trou local” di cui racconta i “piccoli e grandi uomini”, la città dell’Aquitania che solo alla metà del 1600 aveva accettato definitivamente di far parte del regno di Francia, è al centro di molte sue pagine, nelle quali il paradosso e il sarcasmo sembrano tenere il campo. Non è un caso che nello stesso anno in cui pubblicò il suo pamphlet Parigi non esiste (1857) abbia anche pubblicato Prova evidente che Bordeaux non esiste. Il francese scritto da questo “quasi cugino di Cyrano de Bergerac” non ha però dimenticato del tutto l’influenza della lingua parlata per secoli e secoli nel “nostro grande villaggio”.
Moderato in politica, esaltatore di Napoleone III, nemico di Voltaire e celebratore della grande tradizione dei re e della chiesa dei Franchi, nostalgico cantore della vecchia “Cité”, ha un suo spazio originale nella costruzione del mito di Parigi alla vigilia della rivoluzione voluta dall’imperatore e dal Baron Haussmann.
Il suo amore per “Le vieux Paris” e il suo odio per la nuova, la “falsa” Parigi, sembrano qua e là dar ragione ad Aznavour quando canta “les cris de haine qui sont le derniers mots d’amour”.