“La mia infanzia? Non interessa nessuno.”, così rispondeva Louis Ferdinand Céline ai giornalisti che lo intervistavano. Non era un esibizionista, era reticente e chiuso come un’ostrica sulla sua vita privata. Ma l’infanzia dei suoi personaggi, quella sì che gli interessava. Gli otto romanzi di Céline sono costellati di bambini, ce n’è un’infinità. Bambini che hanno un nome e una storia, come Bébert in Voyage au bout de la nuit, o Jonkind in Mort à crédit, bande di bambini che si organizzano per giocare, per rubare, per dar la caccia ai “paracadutisti sabotatori”, bambini uccisi da soldati e bombe al fosforo, abusati dagli adulti, dalle mani straordinariamente abili nei lavori più microscopici.  

Sui loro volti Céline scorge un “infinito piccolo sorriso, un’allegrezza per l’universo”. Raccontare questi bambini e insieme a loro percorrere i romanzi di Céline è quello che fa questo libro, che ha una forma un poco “originale”: è una lunga lettera, un colloquio, scanditi da alcune date e intestazioni, una rapsodia ragionata, un diario, un itinerarium mentis, in un continuum che procede senza interruzioni. Dall’inizio alla fine, come un racconto appunto. Il tempo è solo una dimensione dell’anima, un nostro parametro di esperienza, - è questo il principio che un lavoro del genere sottende - quando intrattiene qui e ora con Céline, una conversazione. Chi racconta è al tempo stesso un personaggio, narra e “si” narra, e conduce quasi per mano il lettore in quello che è il mondo mentale del forse più grande scrittore del ‘900.

“Céline ama tre cose: – aveva detto il pittore Gen Paul, suo amico  – i bambini, gli animali, le ballerine.”

Per il lettore italiano Céline è l’autore di Voyage au bout de la nuit  e di Mort à crédit. Il resto della sua produzione è pressoché sconosciuto.

“Hardi petit!” Attraverso i bambini, Céline può essere un modo per avvicinarsi anche alle opere meno note e per intravvedere quello che di misterioso e magico le pervade.

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