La cultura dell’incolto, che si è imposta come modello dominante dal dopoguerra, oggi mostra i suoi risvolti ed influenza significativamente l’assetto territoriale, il ciclo idrologico, la stabilità dei versanti, il rischio incendi e la vegetazione, quindi i livelli di biodiversità. “Scontiamo così la nostra leggerezza di ieri, la nostra superficialità di ieri” scrive sempre Antonio Gramsci. La capillare rete di monitoraggio del territorio, che per secoli aveva garantito un utilizzo più o meno congruo delle risorse disponibili, si è sfaldata, rarefatta, dissolta. Il 6° Censimento Generale dell’Agricoltura, pubblicato nel 2013 dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), ci indica come dal 2000 al 2010 le aziende agricole sono diminuite del 32% sul territorio nazionale, ma la superficie agraria utile (SAU) delle singole aziende è aumentata: questo significa sempre meno addetti che controllano un territorio sempre più grande, ossia la perdita di capillarità nel controllo e nella manutenzione. Il monitoraggio costante del territorio può essere mantenuto solamente se sono presenti sul territorio attività agro-silvo-pastorali floride e vivaci, i cui conduttori hanno il triplice ruolo di produttori, gestori dei paesaggi e di “sentinelle”.
PRIMA DI ACQUISTARE LEGGI LE PRIME 22 PAGINE