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La visione che ognuno di noi ha del mondo è il risultato del rapporto tra sé e altro-da-sé e quest’ultimo dipende da tutta una lunga serie di fattori: come ciascuno è innato, come ciascuno è storicamente incastonato, come ciascuno è metabolicamente attivo, la somma delle sue esperienze, la somma dei suoi contatti, l’evoluzione dei suoi pensieri. Si può senz’altro essere d’accordo sul fatto che le esperienze esistenziali (le vicissitudini biografiche) abbiano valore in relazione al cambiamento che sono in grado di produrre nella nostra struttura psico-fisica; che quest’ultima sia alla base del desiderio, che il desiderio (l’intenzione) stimoli attività cognitive e attività produttive, nell’ambito delle quali bisogna altresì riconoscere che il bisogno ancestrale, ineludibile e preponderante è la manifestazione, l’affermazione di sé, il proprio essere riconosciuti.
Posso anche riesumare, adesso, due definizioni di vita più volte da me utilizzate, e quindi ormai classiche e, in quanto classiche, semprevive: la prima è data dalla commistione greco-antica di Eros (nel senso lato e continuamente sublimato di libido) e di Kairos (l’opportunità o, meglio, il tempo opportuno, un tempo nel mezzo, un momento di tempo indeterminato nel quale qualcosa di speciale avviene). L’altra è una sorta di aforisma: “La vita è quanto ti accade, durante quello che accade”. Ecco, in questo modo, il pensiero, la visione, sono biografia (descrizione di chi si è) almeno quanto la storia degli amori, delle gioie, dei dolori, dei luoghi e delle parole, di tutte quelle cose, infine, cui diamo il nome di esistenza.