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L’universo è una struttura unitaria vivente. Il significato di questa affermazione viene precisato ed i suoi limiti discussi. Le basi di questa idea sono state poste da Alexander von Humboldt (che per primo ha concepito la rete della vita, formulata in “Cosmos”, 1834) e da James Lovelock che nel 1972 ha proposto l’unità vivente della Terra (“Gaia, un nuovo sguardo alla Vita sulla Terra”). Il concetto di Universo come unità vivente è strettamente legato al Principio dell’Osservatore, che è colui che sa cosa è la Vita e cosa è la Terra nella sua struttura unitaria, e chi è lui stesso. L’Osservatore in realtà sono gli Esseri Umani, me compreso. Per capire che senso ha che un organismo di questo Pianeta formuli un concetto di questo tipo va, in breve e con un po’ di distacco, considerato anche lui.
Il discorso inizia esaminando l’unità dell’Universo ed il concetto di Vita, cercando i punti di contatto tra i due argomenti e le proprietà che in Universo e Vita coincidono; o almeno si avvicinano. Il sottotitolo di questa prima parte è Il sesso degli angeli, a sottolineare la fragilità della logica dell’argomento e, per quanto mi riguarda, il suo interesse di confine tra fisica e metafisica. Il discorso prosegue poi occupandosi della Genetica della brava persona, ad indicare che la specie umana ha come carattere genetico intrinseco, come proprietà dirimente, alcune caratteristiche che lo portano da un lato alla socialità, dall’altro alla elaborazione del pensiero astratto. Poiché la vita e le condizioni che la permettono e la mantengono sono tutto fuorché astratte ed evanescenti, vengono esaminate le ultime tappe della evoluzione umana ripercorrendo i cambiamenti che hanno permesso, e causato, di essere quello che siamo e di pensare in modo ampio. Di questa straordinaria realtà e della unicità di questo processo evolutivo non ci si rende in genere ben conto.
Vengono ricordate alcune tappe evolutive del pensiero umano che riguardano in modo particolare i limiti che separano fisica e metafisica. Tra le quali: la poetica di Esiodo ed il pensiero degli Stoici e dei Pitagorici, coloro che erano giunti alla convinzione che l’unica categoria della mente umana in grado di capire la natura ed il Logos che regge e guida l’Universo è la matematica. Da qui nasce la scienza e la capacità di spingere il pensiero fino ai confini dell’Universo, e di sentirci parte di esso.
Mi è sembrato opportuno presentare le idee che seguono in forma continua, senza capitoli né indice stringente, a sottolineare che si può iniziare a lèggere da qualsiasi punto perché questo discorso non ha una direzione unica, perché è circolare; e perché l’evoluzione e la struttura dell’Universo possono essere trattate in modo perfettamente identico e speculare in entrambe le direzioni, in senso orario ed in quello antiorario, in avanti o all’indietro.
Inserendo comunque ogni tanto, a mò di segnalibro, un breve paragrafo in corsivo che riassume il punto del discorso generale per non abusare eccessivamente della pazienza del lettore.
Un esempio classico di questo tipo di forma di scrittura è in primo luogo il Rayuela di Cortazar, che prologa dicendo: A modo suo questo libro è molti libri, però soprattutto è due libri. Il primo si lascia lèggere nella forma corrente e termina al capitolo 56, (…) . Il secondo si lascia lèggere cominciando al capitolo 73 e proseguendo poi nell’ordine indicato in calce ad ogni capitolo: 73. 1. 2. 116. 3. 34. 4. …
Cortazar faceva propria la teoria letteraria combinatoria dell’OuLiPo, Ouvrage de Littérature Potentielle, di cui erano membri illustri, rimanendo agli italiani, Umberto Eco ed Italo Calvino. “Il castello dei destini incrociati” e “Se una notte d’inverno un viaggiatore” sono altri testi prodotti da questo approccio letterario-combinatorio, forse non riusciti fino in fondo. Esempi molto più illustri, e meno noti, sono in Ovidio, che dichiara la sua intenzione di cantare un carmen perpetuum privo di cesure (Metamorfosi I, 4), e in Callimaco, che sottolinea la natura rapsodica ed intessuta della propria opera. Il rapsodo era colui che recitava, poggiandosi ad un bastone (rhabdos), opere fatte di “canti cuciti”: “… e sul bastone il racconto intessuto …” (Callimaco, Aitia, Lino e Corebo, fr. 26). La ragione di presentare una argomentazione in questo modo è nel fatto che se la sua logica è chiara, deve esserlo in qualsiasi punto, e da qualsiasi punto parta il discorso. Questo modo di esporre serve a sottolineare che l’evoluzione, dell’uomo e dell’Universo, non ha né scopo né direzione.