Jules Michelet (Parigi 1798 - Hyères 1874) è stato un importante storico francese. Fu direttore della sezione storica degli Archivi nazionali (1831), ebbe la cattedra di storia del Collège de France (1838). Le sue idee liberali gli procurarono l'allontanamento da entrambe le cariche. Per il romanticista Michelet la storia doveva essere «la resurrezione della vita integrale del passato», operata mediante il documento, il simbolo e la poesia, e rivissuta con appassionata e enfatica partecipazione. Scrisse una Storia di Francia (Histoire de France, 1833-1844 e 1855-1867) vista come lunga rivolta contro il dispotismo, e una Storia della rivoluzione (Histoire de la Révolution, 1847-1853). Tra le sue opere descrittive e poetiche sono L'uccello (L'oiseau, 1856), Il mare (La mer, 1861), La donna (La femme, 1860). Importanti le sue traduzioni, tra cui quella della Scienza nuova di Vico (Princìpi della filosofia della storia: così suona il titolo francese). Fu un intellettuale in cui agiva una forte sete di giustizia e princìpi democratici: Il popolo (Le peuple, 1846), e La Bibbia dell'umanità (La Bible de l’humanité, 1864) che è un'opera di largo respiro religioso e morale. Una delle caratteristiche di Michelet scrittore è l'uso di una prosa impetuosa, a tutti gli effetti romanticista. Esponente della scuola liberale, Michelet ebbe della storia una “visione totale”: la storia è politica ma anche religione, scienze, arti, letteratura, diritto, filosofia. Questa visione d'insieme dello svolgersi delle vicende umane permise allo studioso di conferire alla storia quell'ampiezza che non erano state in grado di darle né la storia razionalistica nella sua forma politica, né lo studio della civiltà ristretta all'azione di alcuni uomini, istituzioni o classi dominanti. La storia è storia di popoli, storia di nazioni come del resto venivano dimostrando gli avvenimenti politici contemporanei alla formazione culturale di Michelet, quando in Europa nascevano i movimenti nazionali in cui si dissolvevano l'idea e il progetto di una storia universale così come l'avevano ipotizzata i razionalisti. Michelet studiò Vico, ma anche i grandi eruditi tedeschi, lesse i testi antichi del diritto e ne apprese la storia. Da questa articolata formazione culturale egli trasse l'idea secondo cui l'essenza della storia è quel fluido della società che agisce su di essa mediante l'azione di un genio interiore che non sempre è possibile spiegare. Michelet era attratto dalla tesi del “genio del popolo”, che vedeva manifestarsi in tutta la sua forza nella storia della Francia. La storia universale era fatta dal contributo delle nazionalità e la Francia, grazie alla grande Rivoluzione, era la nazione eletta. Il 1789 offriva alla sua storia, e soltanto a essa, un valore esemplare, trasformando in universale tutto ciò che aveva in sé di particolare; era caratterizzata dal cristianesimo e dalla rivoluzione, al primo si legava la lunga monarchia per diritto divino, alla seconda la rinnovata tensione all'emancipazione e fratellanza tra gli uomini. Concluso nel 1843 il sesto volume della storia di Francia con il racconto del regno di Luigi XI, Michelet aveva appena avviato la parte relativa al regno di Carlo VIII quando, accantonando gli ultimi tre secoli della monarchia, incominciò a scrivere della Rivoluzione (Storia della Rivoluzione 1847-1853). A tale impegno dedicò un decennio scrivendo, in tono narrativo più che critico, degli avvenimenti succedutisi in Francia dalla convocazione degli Stati generali alla caduta di Robespierre, sette volumi apparsi tra il 1847 e il 1852. A questa decisione di scrivere la storia della rivoluzione prima di quella della sua origine contribuì il fatto che quello della rivoluzione era divenuto, negli anni Quaranta dell'Ottocento, un tema di grande attualità. Inizialmente Michelet decise di farne oggetto di studio al corso che teneva al Collège de france. Proprio nel momento in cui E. Quinet aveva scatenato la battaglia contro le pretese della chiesa di sottoporre a controllo l'università, egli dava alle sue lezioni un carattere meno erudito e più politico, entrando appieno nella questione religiosa e sottoponendo a critica e revisione il rapporto tra cristianesimo e democrazia moderna. Rifiutando l'idea di connessioni tra cristianesimo e Rivoluzione francese intervenne vigorosamente nella polemica prima con un saggio contro il clericalismo (Il prete, la donna e la famiglia, 1845, ed. it. 1850) e poi con Il popolo (1856, ed. it. 1989) in cui rielaborava l'idea della fratellanza universale, fondamentale eredità degli avvenimenti del 1789 e minacciata a destra e a sinistra dalla borghesia orleanista e dai socialisti assertori entrambi, sia pur in diversa prospettiva, della lotta di classe. A questi lavori fecero seguito i primi due volumi della storia della rivoluzione, o meglio secondo Michelet della storia della nazionalità francese di cui il 1789 era stato il messaggio. Della Rivoluzione Michelet considerava fondamentali gli esordi, in particolare il periodo che va dagli Stati generali alla Festa della federazione (14 luglio 1790). Ciò che celebrava nel 1789 era l'unità del popolo e della nazione nella riconquista della propria sovranità e nell'affermazione del diritto così come si era venuta esplicitando nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. La Rivoluzione, tuttavia, mantenne meno di quanto promesso. Nella costituzione civile del clero Michelet vedeva i primi segni del cedimento: in quel momento la rivoluzione aveva preteso di riformare il cristianesimo senza credere nel cristianesimo; egli poi detestava la degenerazione della rivoluzione in piccoli gruppi di intolleranti. Non amava la leggerezza dei girondini né il settarismo di Robespierre; condannava il colpo di mano antiparlamentare del 1793, l'assoggettamento del parlamento alla piazza. Nel Terrore vedeva il prodotto del fanatismo giacobino: nel 1793 i giacobini si erano sostituiti al popolo del 1789; dopo tre anni di rivoluzione la nota dominante era divenuta l'indifferenza pubblica, si era perduta l'originale spinta popolare. Michelet cessava di scrivere la sua storia al momento del crescere della reazione del Termidoro. Certamente quello della Rivoluzione è il tema più notevole dell'opera dello storico francese. Vari ne sono i motivi: perché a causa della sua formazione aveva preso contatti direttamente con essa attraverso testimoni oculari; perché era diventata il suo pensiero; perché era in grado di esprimere nella storia della Rivoluzione l'anima del popolo che l'aveva fatta con le sue speranze, le sue illusioni e anche i suoi errori. Nello scrivere Michelet è brillante, pittoresco, concreto (Storia di Francia e La strega); dal punto di vista metodologico la sua opera storiografica non è certo un modello ma, come scrisse G. Lefebvre (La storiografia moderna, 1971, ed. it. 1973) «è impossibile leggerlo senza amare la storia, anzi senza voler fare la storia; non è un maestro, perché le qualità per cui spicca sono qualità personali in modo stretto, in realtà non comunicabili».