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Quella cattiva è che la nostra società termoindustriale – basata sul petrolio, sul consumo di massa e sulla globalizzazione – è destinata a collassare. Si definisce “collasso” quel processo per il quale una società complessa (altamente specializzata, tecnologica e centralizzata) si semplifica rapidamente, con una conseguente rilocalizzazione delle catene alimentari e produttive, ed una crescente autosufficienza degli Stati e delle comunità locali. Quando una civiltà collassa, essa si disgrega e si semplifica, la disoccupazione esplode, i servizi pubblici e privati si degradano. Lo Stato centrale, ma anche le imprese, cessano di esercitare un controllo capillare ed efficace sull’insieme della superficie di una nazione. La popolazione si disperde sul territorio e mette in piedi forme di organizzazione sociale più semplici e democratiche.
La buona notizia è che, alla luce di ciò, possiamo cominciare a pensare al mondo di dopo. Come vogliamo vivere da ora in poi? Per prepararci, occorre ricolonizzare il nostro immaginario con nuovi futuri – il collasso è un processo angosciante, ma perché non vederlo come un’opportunità? Molti cittadini saranno spinti a tornare alla terra e ai lavori essenziali, ad un’autonomia collettiva nelle campagne. Ed è un’eccellente notizia. Perché la qualità della vita sarà maggiore (fine dello smog, del cibo cancerogeno, ecc.), i lavori saranno più utili e sensati (fine dei “bullshit job”), avremo più tempo libero e conviviale, ma anche per fare politica ed auto-organizzarci, vivremo vicino alla natura e agli animali, potremo cantare, suonare, dipingere, leggere romanzi, raccontarci storie, e persino viaggiare – anche se più raramente, più lentamente e meno lontano.