Non ci sono libri nel tuo carrello.
0 Libri | €0,00 |
“Se gli individui riusciranno a ricongiungersi con la loro storia, come qui abbiamo cercato di aiutarli a fare, potranno facilmente riconoscere che è economicamente sensato:
1) garantire, a chi ha contribuito per un periodo di venticinque/trent’anni alla produzione nella forma del lavoro salariato, una partecipazione adeguata ai frutti della riproduzione sociale, attraverso una pensione ancorata alla retribuzione e alle condizioni di vita divenute storicamente normali, invece che ai soldi accantonati;
2) aprire lo spazio alle generazioni anziane per altre forme di partecipazione alla produzione caratterizzate da un maggior grado di libertà rispetto al lavoro salariato, fornendo loro i mezzi economici corrispondenti, che dovrebbero aggiungersi alla pensione, invece di relegarle nei Centri anziani, o lasciarle chiuse in casa, in attesa del trapasso;
3) creare, attraverso il perseguimento degli obiettivi appena indicati – che si concretizzano ancora in spese che non puntano ad essere remunerative - alcune delle condizioni materiali affinché le nuove generazioni possano estrinsecare appieno e stabilmente le loro stesse capacità produttive;
4) consentire alle giovani generazioni, emancipate dalla precarietà, di conquistare ai propri anziani uno spazio di libertà analogo a quello che gli anziani hanno creato per loro, quando le hanno sottratte alla necessità di un lavoro precoce.
Quando gli individui si risveglieranno dallo stato ipnotico nel quale, in molti, sono recentemente precipitati, e sapranno ascoltare con orecchie disincantate le argomentazioni degli avversari della previdenza pubblica, si renderanno facilmente conto che tutti gli appelli che vengono pressantemente rivolti loro non hanno alcun legame con la situazione di fatto, e costituiscono al massimo “frasi idealizzate, illusioni coscienti, ipocrisie premeditate”.
Speriamo che affinché questo passaggio avvenga non sia necessario soffrire così profondamente come accadde tra le due guerre mondiali, quando ci volle la disoccupazione di massa e la morte di milioni di persone per scoprire che la fiducia nel laissez faire, da un lato, e nei “duci”, dall’altro, era peggiore del male. Ma se, come la crisi che si protrae da trent’anni e il collasso finanziario del 2008 lasciano intravedere, la storia si ripeterà in maniera così becera, magari sostituendo ai dittatori che si avvalevano della violenza, dei leader che fanno leva sulla propaganda suasiva o dei tecnici che nascondono la loro incapacità dietro a formule salvifiche, vuol dire che, pur nel suo inguaribile ottimismo, Erich Fromm aveva pienamente ragione quando metteva in guardia la società moderna dalla spinta, intimamente radicata negli esseri umani, ad una “fuga dalla libertà”.