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In un corso al Collège de France del 1978 Michel Foucault accenna all’esistenza di un “dispositivo di sicurezza”, conseguente e per certi aspetti intrecciato ai dispositivi classici fondati sulla sovranità, il diritto e la disciplina. Nello stesso tempo si sta insinuando da più di un secolo l’idea che il concetto, molto astratto a dire il vero, di libertà possa coincidere con la stessa sicurezza. Essere “sicuro” significa “essere libero”, sebbene l’equazione non sia così pacifica. Che cosa significa infatti “essere sicuro”? E che implicazione può avere sulla società e sull’individuo un sistema fondato quasi esclusivamente sulla sicurezza?
“Essere sicuro” potrebbe essere tradotto in latino con sine cura, cioè senza preoccupazione, angoscia, assillo, ma anche privo di quell’atteggiamento – sempre restando in ambito foucaultiano – che implica un impegno attivo, un esercizio sia su di sé che sugli altri. Questo meccanismo si traduce in quei processi che forse più d’ogni altro connotano l’epoca attuale: la “delega” e la “de-responsabilizzazione”, ossia l’affidamento ad altri delle proprie incombenze e dei propri rischi (ad istituti come le “assicurazioni” ad esempio), e lo “scarico” nei confronti della “risposta”, del rendere conto di qualcosa a qualcuno. Il fatto sorprendente è che questo meccanismo potrebbe all’apparenza essere individualmente liberatorio, ma in realtà implica delle nuove forme di dipendenza e di assoggettamento: la fuga pianificata e ottimizzata economicamente dalle paure e dai rischi dell’esistenza condannano l’uomo contemporaneo alle catene di una libertà che risuona sempre di più come una semplice parola priva o troppo piena di senso.