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Tra la fine degli anni Settanta e gli anni Novanta, settori minoritari del radicalismo di sinistra italiano e francese si fecero portavoce delle tesi del negazionismo della destra radicale.
Il loro tentativo di negare l’esistenza delle camere a gas e della Shoah si basava sulla pretesa di interpretare in termini marxisti e storico-materialistici l’antisemitismo nazista.
Per un verso, questa convergenza sinistra radicale-destra radicale non era una novità nel panorama politico-culturale del Novecento; per l’altro verso, il negazionismo di sinistra aveva cercato di spacciare per “padre” del negazionismo Amadeo Bordiga, attribuendogli uno scritto che in realtà non era opera di questo prestigioso dirigente del movimento comunista degli anni Venti: la colossale menzogna negazionista si fondava, a sua volta, su un’altra menzogna, paradossalmente accettata dalla consistente bibliografia internazionale sul negazionismo.
La ricostruzione di questa vicenda, quasi del tutto sottovalutata dalla storiografia sul negazionismo, può comunque essere utilizzata come laboratorio per verificare un intricato nodo di problemi, a cominciare dall’atteggiamento dei dottrinari davanti alla storia e al passato.
Ma v’è di più. Pur riscuotendo scarsa udienza nella stessa area del radicalismo di sinistra, questo fenomeno politico minoritario aveva inconsapevolmente fatto emergere alcuni limiti della tradizione teorico-politica del marxismo, cui esso si richiamava; in particolare, la lacunosa interpretazione del fenomeno dell’antisemitismo da parte del marxismo “classico”, nonché la difficoltà, se non l’impossibilità, di fornire una teoria marxista del totalitarismo.