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Due sono i temi che s'intrecciano nelle poesie di Giulio Favento: l’incessante interrogazione della vita e del mondo da una parte e, a parziale rimedio alle ferite causate dall’orlo tagliente del baratro metafisico, l’amore. Da una parte dunque le poesie filosofiche, dove Dio vive solo con sé stesso, dimentico del genere umano e del suo doloroso oscillare tra illusione e delusione; dall’altra la stupefatta presenza, in questo deserto enigmatico e ostile, della donna, vista, con sensibilità ferita e sanguinante
Amor ti fa bella
e amor ti piange
come unico approdo salvifico dacché tutte le illusioni sono cadute, a cominciare dall’inseguita verità
Verità, figlia infelice d’ogni tempo [...]
Verità, liscia conchiglia
in cui si specchia il mondo,
non mi suggerisci ormai più nulla.
Favento si pone le domande fondamentali sulla condizione umana, cui nessuno, se non per fede volonterosa o per vinta rassegnazione, ha mai saputo dare risposte placate
Grandi uomini ho conosciuto
che han cercato Iddio
e dopo di lui il silenzio.
Pur consapevole della vanità di questo cercare e dello sfibramento dell’anima che ne consegue, l’autore non rinuncia all’indagine di ciò che si agita vivo sotto le molteplici apparenze, transitorie e ingannevoli, della natura. Con la sua rassegnata ribellione, continua a pungere con gli occhi e con la mente la scabra superficie del mondo, ricavandone non consolazione ma fitte di tormento.
Da oltre mezzo secolo l’autore svolge indefettibilmente questa indagine, che non può riuscire ma che è necessaria: non si può non cercare l’assoluto, corteggiare l’indicibile, tormentarsi di fronte al mistero, costruire e demolire ipotesi, supposizioni, congetture. L’uomo è stanco, vorrebbe trasformarsi in altro, dice Favento, ma prima di abbandonare l’abito consueto non può non gettare un’ultima occhiata al paesaggio circostante, che lo illude prima e poi lo disillude nel gioco perverso degli dèi beffardi. Così, dopo l’ultima occhiata, ne dà un’altra e poi un’altra ancora, sprofondando nel labirinto diroccato che non cessa di erigere e smantellare. Infatti non c’è vita degna che non abbia come vessillo questo infinito ricercare.
Solo la donna, dicevo, con il suo potente sortilegio filtrato dall’amore, riesce a tratti a placare i cupi slanci al dissolvimento e alla macerazione: e dall’amore sono ispirate alcune delle poesie più vere e toccanti, dove il rimpianto per una vita non vissuta ma vagheggiata con doloroso rammarico sembra riscattarsi e volgere alla serena luminosità di giorni lontani e pacificati.