A cura di:
Presentazione di Fabio Benatti
Il filosofo-poeta, poeta-filosofo di questi versi dalle assonanze e dai richiami potenti, contiene in sé la sua propria, irriducibile copia d’universo e del suo fluire. Il poeta se ne sente parte, effimera, travolta e, insieme, particella integrante e costitutiva, degna di alzare la fronte per guardare e domandare perché. Il filosofo s’erge a governarne l’inesausto e travolgente evolversi e poetando crea risonanze d’immagini e suoni con cui salva se stesso dalla frantumazione che sempre il finito subisce ad opera dell’infinito. Ma ad ergersi non è il petto e la fronte di Pascal che in fondo ha l’Universo «in gran dispitto». È quella di chi sente la potenza del flusso, la sua rapacità, la propria inadeguatezza, ma riesce anche a percepirne con involuzioni e rivoluzioni, andate e ritorni, occultamenti e rivelazioni la promessa di una possibile quiete. Là dove il correre in avanti uscendo da se stessi s’incontra con il ritorno a chi una volta si era e non si è più.
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