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Questa raccolta di racconti lunghi, pubblicata da Miguel de Unamuno nel 1933, ci regala una serie di scorci sullo stile letterario e soprattutto sul pensiero dell’autore. Così, il protagonista, o meglio l’oggetto del racconto Il romanzo di don Sandalio, giocatore di scacchi, non è altro che un personaggio la cui vita interiore ci sfugge, come in realtà ci sfugge la vita interiore di qualsiasi altra persona. È una non-narrazione sull’altro, a sottolineare come le altre persone, gli altri uomini in carne e ossa restino comunque un enigma, una singolarità personale ch’è accessibile solo ed esclusivamente nella misura in cui essa stessa ci permetta l’accesso e noi siamo interessati ad accedervi. Nell’ironico racconto Un pover’uomo ricco o il sentimento comico della vita, ci viene invece presentato l’esatto speculare di quella che, per Unamuno, è la vita autentica, cioè la vita agonica, che continua a lottare e a sforzarsi nel sentimento tragico che la caratterizza. Il sentimento qui, invece, diventa comico, perché l’unico impegno del protagonista è quello di risparmiarsi, di non impegnarsi, d’essere parsimonioso nei confronti della propria esistenza e, soprattutto, dell’amore. Un discorso leggermente differente lo si deve fare per Una storia d’amore: aggiunto in extremis alla raccolta, il racconto prende spunto da un episodio autobiografico e sembra quasi essere un tentativo di esplorare una realtà alternativa, determinata dal cambiamento di un particolare rispetto alla vita dell’autore (l’intraprendere la carriera ecclesiastica invece che il matrimonio). Una sorta di Sliding doors, in cui però le due storie parallele sono una la vita reale di Unamuno, l’altra un’alternativa possibile. In ogni caso, sembra che il messaggio del racconto voglia essere: vedi, se anche avessi fatto scelte differenti, sarei sempre stato innamorato di te e, in un modo o nell’altro, saremmo finiti insieme…
Ma è San Manuel Bueno, martire, il romanzo principale della raccolta e l’unico a essere citato nel titolo onore che non era toccato a nessuno dei racconti di Tre novelle esemplari e un prologo (Asterios, Trieste 2015). La sua importanza è sottolineata già nel Prologo, dove Unamuno confessò d’avere «la coscienza di aver messo in esso tutto il mio sentimento tragico della vita quotidiana». Il protagonista, don Manuel, dedica la sua vita al popolo di cui è pastore, e vi si dedica con tale fervore da essere considerato un santo da tutta Valverde, ma in realtà vive un’angoscia quotidiana e continua, perché don Manuel ha perduto la fede, perché egli prova desiderio per la vita eterna, ma non riesce a convincersi della sua esistenza. La fede che qui l’autore vuole porre in evidenza non è certo la fede di chi confida nell’al di là e, dimentico dell’al di qua, si scorda di essere vivo, e spreca la sua vita nell’attesa di una vita futura; per Unamuno prima si deve vivere, e vivendo credere, in maniera che la vita possa avere un significato, di cui la mancanza di fede, il nulla, la priverebbe. Certamente la fede unamuniana è un’assurdità. Ma senza di essa non si riuscirebbe a vivere, nonostante ciò che possono affermare certi filosofi, che forse dovrebbero riflettere sull’epilogo di San Manuel Bueno, mártir. E chi vuole intendere, intenda.