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L’urto che si profila all’orizzonte tra Stati Uniti e Cina si staglia sullo sfondo di un caos crescente, che il conflitto ucraino rende ancora più drammatico. A più di dieci anni dall’innesco della crisi mondiale la globalizzazione è entrata in una fase critica - pur ancora al di qua della soglia di una de-globalizzazione - e con essa il rapporto asimmetrico Usa/Cina che ne è stato fin qui il perno.
I nodi vengono al pettine. Da un lato, il capitalismo cinese in ascesa ha in teoria ampi margini di sviluppo – anche se non più nella forma eroica dell’“accumulazione socialista” isolata dal mercato mondiale – ma la coesistenza non conflittuale con l’Occidente imperialista si sta rivelando una strada sempre meno praticabile. Sul fronte opposto, l’egemone mondiale nello svolgere una funzione ordinativa a tutt’oggi indispensabile a scala internazionale - suggellata dal dollaro moneta mondiale - opera un prelievo sempre più oneroso e destabilizzante per il capitalismo nel suo insieme.
Nessuno dei due contendenti può rinunciare alla partita. La contraddizione specifica di fase è tra la necessità, speculare e opposta per Cina e Stati Uniti, di conservare la globalizzazione e la spinta a mettere in atto strategie che finiranno per minarla.
Con ciò, si arriverà ad una vera e propria de-globalizzazione? È realistico pensare al passaggio a un ordine multipolare sostitutivo del caos montante? Siamo di fronte ad una sfida egemonica da parte cinese o piuttosto ad un nodo sistemico? Si scorgono forse i prodromi della disarticolazione del sistema capitalistico pervenuto a un primo dispiegarsi a scala mondiale della sussunzione reale?
Tutt’altro che mera vicenda geopolitica, il rapporto tra Stati Uniti e Cina catalizza l’insieme delle contraddizioni e l’urgenza di una ristrutturazione complessiva che il capitalismo mondiale non potrà più a lungo rinviare. Ne saremo tutti sempre più coinvolti.