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The Universe is queerer than we can suppose. JBS Haldane
C’est une chose étrange à la fin que le monde. Jean d’Ormesson
Queste parole parlano di tempo, di DNA e di qualche segno dell'anima. La separazione in argomenti è artificiale e arbitraria. In realtà questo è un unico discorso sulla natura dell’uomo, diviso in parti solo per ragioni organizzative, strutturali, per dare un ordine alle pagine e facilitare la lettura.
Lo scopo è quello di articolare un messaggio ed una riflessione positiva sulla natura della conoscenza, sulla nostra posizione nel tempo e nell’universo, sul senso della vita. Allo stesso tempo, vorrei suggerire al lettore che più cose scopriamo, più ci rendiamo conto della nostra inadeguatezza a capire. Un richiamo lontano è al De Rerum Natura, da cui il titolo. Lo scopo di Lucrezio era quello di trasmettere in forma poetica, attraverso la descrizione delle conoscenze scientifiche di allora, un messaggio laico e anti-superstizione. Il nostro scopo è lo stesso. Naturalmente, il livello delle conoscenze scientifiche e lo spessore della comprensione della realtà sono cambiati. Non sappiamo ancora definire con precisione che cosa sia la mente, non conosciamo i limiti dell’universo, ma abbiamo preso coscienza della nostra struttura genetica, della definizione della struttura del cosmo, di quello che è al di là del cielo blu. E ci siamo resi conto che il DNA, il tempo e i segni dell’anima sono fatti meccanici e complessi. Attraverso il racconto di un viaggio iniziatico tentiamo di trasmettere una convinzione: che la conoscenza intima della nostra natura fisica, genetica, molecolare e psicologica (il sapere di cosa siamo fatti), ci fa dono di una nuova dimensione di libertà esistenziale. Quella di accettare i limiti della conoscenza.
La scienza è filosofia sperimentale. Quando la scienza affronta argomenti tanto complessi che per descriverli e capirli non bastano più i metodi quantitativi, allora la scienza diventa poesia sperimentale e descrizione figurativa. Diventa intuizione, prende a volte la forma dell’arte.
In questo approccio duplice e sovrapposto è la chiave vera di queste pagine, il loro eventuale significato. In entrambi i casi, filosofia sperimentale e arte, l'unico modo per spostarsi lungo un filo logico consiste nell’ancorarsi saldamente alla Struttura. Come Ulisse legato all'albero della nave, ma con le orecchie ben aperte. [Si racconta che Pitagora sia stato il primo a dare a se stesso il nome di "filosofo". Ma non soltanto adottò un nuovo nome; in più fornì preventivamente utili spiegazioni circa il contenuto della nozione, che era a lui peculiare (Giamblico, La vita pitagorica, I, 58)].
La struttura di queste pagine è quella di un viaggio che si articola all’interno di un Labirinto enigmatico (Rebus), lungo un tragitto che passa da una Stanza all’altra. Ogni Stanza è una situazione, un luogo dell’anima, una scena di teatro nella quale l’io-narrante descrive ed elabora la propria esperienza. Lungo il viaggio il Labirinto assumerà man mano una sua valenza autonoma, diverrà un insieme districabile di situazioni, quasi una persona, un antagonista. Si capirà facilmente che Labirinto è al tempo stesso la nostra mente e la realtà che ci circonda. E che da Labirinto sarebbe forse più saggio non uscire.
Il cammino lungo le Stanze ha anche un altro significato: identifica domande e propone soluzioni. Allo stesso tempo però le scompone e le mescola, a sottolineare l'unità della conoscenza e della memoria che è dentro la nostra testa. Il frantumarsi della memoria è scandito dalla struttura paratattica del racconto e del linguaggio usati: frammenti di memoria di altre persone, frammenti di altre esistenze, frammenti di altre vite che si uniscono lungo il racconto, ad identificare la complessità e l'unità della scienza e della nostra esperienza.