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Premesso da:
L'economia cannibale di Emiliano Bazzanella
Sul buon uso del cannibalismo di Jonathan Swift
L'invidia del 1%
Vorrei riflettere su uno dei più antichi esercizi umani, il processo per mezzo del quale nel corso degli anni, dei secoli in realtà, ci siamo impegnati a toglierci i poveri dalla coscienza.
I ricchi e i poveri hanno convissuto, sempre scomodamente e alle volte pericolosamente, sin dalla notte dei tempi. Plutarco arrivò a dire “lo squilibrio tra ricchi e poveri è il morbo più antico e fatale delle repubbliche”. E i problemi che sorgono dalla reiterata coesistenza di abbondanza e miseria – in particolare il processo per cui grandi fortune sono giustificate in presenza di sfortune altrui – sono stati una preoccupazione intellettuale per secoli. Continuano ad esserlo a tutt’oggi.
Si inizia con la soluzione proposta dalla Bibbia: i poveri soffrono in questa vita ma sono meravigliosamente ricompensati nella prossima. La loro povertà e una sfortuna temporanea; se poi oltre che poveri sono anche mansueti, alla fine erediteranno la terra. Questa è, per certi aspetti, una soluzione mirabile. Permette ai ricchi di godersi i loro beni invidiando i poveri per la loro fortuna futura.
Assistiamo a un capovolgimento dei termini in gioco: ciò che dovrebbe essere l’opzione più sensata e percorribile, viene altresì esclusa in favore della soluzione solo in apparenza più logica. La scelta dell’uomo occidentale è stata infatti quella della rimozione, in quanto la povertà rappresenta il proprio essere-Altro osceno e insostenibile. E questa rimozione ovviamente si esplica nell’esatto opposto dell’indigenza, ossia nel consumismo sistematico. L’uomo consuma perché vuole rimuovere la povertà che è il suo “essere-reale”; ignora l’indigenza nel mondo poiché nega e si distanzia da una parte oscena di sé che non vuole vedere e ammettere, ma questa parte oscena ri-torna ineluttabilmente nella misura in cui egli stesso diviene “oggetto di consumo” e quindi di cannibalismo.