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INTELLETTUALI

Volume della collana Volantini militanti n. 73
Prezzo: €7,90 / Prezzo di listino: €7,90
CON OMAGGIO UN TITOLO DEI VOLANTINI
Formato: 125x210, 96 pagine / Agosto, 2023 / ISBN: 9788893133258
A cura di: 
Aldo Meccariello

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Intellettuali e virus. Sembra scontato, forse, anche, banale chiedersi come gli intellettuali abbiano interpretato la pandemia. Eppure se, ad un primo istante, possa apparire ridondante e retorico inserire la voce Intellettuali all’interno del lessico pandemico, ad una riflessione più attenta si può subito osservare come la questione diventi non solo importante, ma anche complessa.

Infatti riflettere sugli intellettuali, nell’epoca del Corona Virus, significa pensare a come abbiano reagito innanzi all’evento che ci ha travolti con una forza inaudita. Quindi, chiederci come costoro abbiano letto il tempo che stiamo vivendo e nel quale siamo, ancora, immersi. Quali interpretazioni siano sorte. Politiche. Economiche. Sociali. Ecologiche. Ambientali. Cliniche. Tecniche. Come le analisi degli intellettuali abbiano preso forma nei loro scritti, nei loro libri, nelle loro pubblicazioni.

Eppure le seguenti pagine non possono fermarsi a cosa abbiano espresso, sotto le più svariate forme - dal saggio all’articolo giornalistico-  i pensatori di professione. Infatti, se fosse solo e soltanto questo il punto della disamina, non si avvertirebbe l’esigenza teorica e pratica - politica di inserire la voce Intellettuali all’interno di una collana che ha come scopo primario quello di scoprire come la pandemia abbia attribuito un nuovo significato alle parole, ed ai termini.

Da questi due anni il nostro linguaggio esige una ri-significazione, ed una nuova acquisizione di senso.  Quindi una nuova comprensione.

Ecco allora, lo snodo nevralgico su cui sarà prioritario riflettere: chi sono gli intellettuali nell’epoca della pandemia? Come la voce intellettuali cambi significato? Se di una qualche modifica si possa parlare, o se ci si stia riferendo, invece, ad una riqualificazione del termine. Chi sono gli intellettuali, oggi, ai tempi del Coronavirus? Chi possiamo annoverare tra coloro che si sono spesi nella riflessione? Che hanno lavorato cognitivamente per poter uscire dalla situazione d’emergenza nella quale ci siamo trovati? Chi sta contribuendo a costruire un mondo migliore di quello in cui abbiamo vissuto finora? Chi sta guidando nella comprensione di questi tempi bui?

Sposando l’idea espressa da Eugenio Garin, sulla funzione e sulla non utilità pratica degli intellettuali, lo scopo delle seguenti analisi è uno studio sull’attribuzione di significato del termine intellettuali a specialisti in ambito clinico ed operativo, quali nuove figure di riferimento pubblico e mediatico. Se da un lato si stia verificando una progressiva vanificazione di un dato ruolo dell’intellettuale, dall’altro lato, non si può preconizzare la cancellazione definitiva di tutti i suoi ruoli attuali o potenziali. Ora, innanzi al fenomeno sanitario della pandemia chi sono i nuovi numi tutelari cui dar credito? Chi ascoltiamo? Medici? Virologi? Scienziati? In chi rivolgiamo le nostre aspettative? Da chi ci aspettiamo risposte? Le parole di chi riteniamo degne di fiducia? La voce di chi riteniamo autorevole? Difficile, sembra affidarsi. Quasi rischioso, come ha ben osservato Natoli.

Il nostro tempo ha smesso di porsi in ascolto dei sapienti, demandando ad altro, alla tecnica alla scienza e alla medicina quel ruolo oracolare un tempo ricoperto dagli intellettuali. In un tempo in cui è la vita e la salute ad esser in pericolo, ci si sente smarriti e soli, privi di punti di riferimento e di guide. Se è vero, allora, che gli intellettuali sono lo specchio della cultura e lo spirito del loro tempo, analizzare le relazioni che costoro intrattengono, oggi, con la politica, con la società, con le comunità significherà riflettere filosoficamente sul nostro presente. E se per lungo tempo gli intellettuali siano parsi irrilevanti, oggi, ridestarli dalle loro nebulose teorie significa ricreare una sfera pubblica in cui costoro possano tornare a dialogare con le masse. In un tempo che ci ha costretti chiusi in casa, in cui il distanziamento ha connaturato una nuova socialità, è necessario ridefinire, anche, le nuove figure - molto più influenti e influenzanti - dei classici pensatori di professione.

Il primo passo è quello di ridefinire la figura storica dell’intellettuale ai tempi del Corona Virus. Quindi l’analisi sarà di certo ermeneutica, volendoci soffermare non tanto sull’origine, sul ruolo oscillante e sull’influenza esercitata dagli intellettuali negli ultimi tre secoli, nel quale arco temporale sembra difficile identificare il loro impatto collettivo sulla società. Ma su come interpretare questa figura oggi, durante i terribili tempi pandemici. Durante e dopo il lockdown, bisognerà chiedersi quali voci si siano destate ed abbiano risuonato nel panorama culturale, mediale, digitale, sociale e politico. Quindi se, il lemma intellettuali non voglia essere solo flatus vocii dobbiamo chiederci, con acume e con atteggiamento critico, a chi attribuire tale appellativo. Consapevoli che l’aspetto dal quale leggere la società voglia essere una prospettiva che tenga insieme il lavoro dello spirito ed il fare del politico, dobbiamo cogliere a chi attribuire l’appellativo d’intellettuale? E se tale attribuzione spetti solo a teorici di professione, o a tecnici ed a nuove figure che hanno assunto, negli ultimi tempi, nuova risonanza mediatica e comunicativa. A tal proposito, si vorranno rintracciare coloro che nel loro lavoro sul Corona Virus, abbiano fatto ricerca, studiato ed analizzato non solo il fenomeno clinico, ma le conseguenti trasformazioni sociali e culturali. Al riguardo diventa indissolubile comprendere come queste figure si siano poste in campo politico, allo scopo di governare il virus.

 Ritroviamo, così, non solo filosofi contemporanei che, da intellettuali hanno guidato il pensiero e fatto politica. Ma medici, scienziati, virologi, epistemologi, che indossando i camici, dai vari salotti televisivi, dispensavano il loro sapere. Clinico. Specialistico.

 Non più rinchiuso nella torre d’avorio, ma dai laboratori, dalle corsie degli ospedali, dai dipartimenti di medicina voci nuove riecheggiano e diventano portatori di un sapere, fino a poco tempo fa, essoterico ed ora di facile divulgazione. Ecco la novità. Intellettuali e scienziati a confronto. Scienziati che, pur non avendo mai analizzato i massimi sistemi, diventano nuove guide cui guardare e cui prestare l’orecchio.

Il secondo passo è prettamente filosofico, allo scopo di cogliere come alcuni pensatori abbiano letto il fenomeno pandemico in chiave teoretica, e pratica. Da intellettuali si sono posti domande filosofiche sul Coronavirus.

Studiare un fenomeno reale, concreto, immanente, che ha intaccato la vita, la polis, la comunità è filosofia. Anche questa volta, gli intellettuali hanno offerto al nostro paese il meglio delle loro risorse, in un momento in cui la voce invocava più forte la libertà, la sicurezza, e la tutela della vita. Qui, di certo il confronto sarà con nomi illustri del pensiero contemporaneo le cui tesi sono anche in contrasto  tra loro, creando vere e proprie querelle filosofiche sulle diverse interpretazioni non solo dei metodi di contenimento del Covid, ma sugli esiti delle scelte politiche. Ancora una volta si ripresenta la medesima e stridente questione: chi decide in un contesto d’emergenza? Il fare del politico è riuscito a rispondere nell’immediato alle esigenze che il tempo ha richiesto?

 Quindi, il fulcro del discorso spazierà dall’aspetto teoretico a quello pratico. Congiungendo il primo alla filosofia e il secondo alla politica, si analizza come il progressivo sgretolamento che da tempo è presente nella tradizione occidentale abbia trovato - purtroppo- l’umanità impreparata politicamente ed economicamente innanzi ad i cambiamenti incontrovertibili del tempo. Non è un caso che da tempo molti studiosi ed epistemologi abbiano formulato e proposto nuove frontiere in virtù delle metamorfosi del nostro pianeta.  E le loro voci siano state inascoltate.

Già nei primi decenni del Novecento ci sono stati intellettuali che hanno criticato il mito del progresso tecnico e scientifico, denunciando in modo energico i disastri prodotti sulla natura. Pensiamo, in modo particolare, all’estinzione di innumerevoli specie viventi. Un ruolo importante, in questo contesto, è rivestito dal poeta Stefan George, che adopera l’espressione ecocidio, nell’opera L’uomo e la Terra del 1913.

Momento imprescindibile nella riflessione posta dagli intellettuali innanzi alle rivoluzioni scientifiche contemporanee è stato, senza dubbio, la scoperta nucleare. Infatti il possesso di armi nucleari, dalla sua, è, ancora adesso, una minaccia per l’umanità, che rischia la distruzione. Innanzi al prometeismo scatenato dall’uomo moderno, Jonas invaga un principio di responsabilità, che imponga agli esseri umani, ed ai governanti della Terra, l’imperativo categorico di non intraprendere nessuna azione o impresa tecnico-scientifica che metta repentaglio la sopravvivenza dell’uomo sul pianeta e garantita alle future generazioni una vita degna di essere vissuta. Non solo Heidegger, ma molti suoi allievi come Jonas, Arendt e Anders; Neurath e Popper hanno denunciato l’ideologia dell’homo faber , secondo la quale l’uomo è padrone e possessore della natura.  Capace - mediante i ritrovati sempre più ingegnosi della tecnica - di soggiogare la natura, armandosi di una volontà di potenza rivolta a sottomettere alla propria logica di dominio non solo gli esseri umani, ma anche l’ambiente naturale. L’ideologia dell’homo faber ha radicata in sé la convinzione secondo la quale attraverso la scienza e le sue applicazioni tecniche l’uomo moderno allarghi progressivamente i confini della sua conoscenza. In questa prospettiva, il progresso è ritenuto capace di dare una risposta esaustiva a tutte le domande di senso dell’esistenza umana. La tecnica e la scienza illudono ed inducono nel credere di poter fabbricare l’uomo nuovo, modificando anche geneticamente il codice genetico. Lo scienziato incarna le vesti del nuovo Prometeo. E ritiene che per mezzo della tecnica tutto sia possibile. Ecco la tracotanza. La hybris. La protervia smisurata. Violare i limiti del possibile ha come conseguenza inevitabile la distruzione dell’uomo e della natura. Siamo dovuti giungere agli anni Settanta del Novecento perché l’uomo giungesse a comprendere il legame inscindibile con la natura e con l’universo. L’ecologia, quale scienza, nasce proprio in un contesto in cui l’umano riscopre la sua relazione nei riguardi dell’ambiente naturale, quale sua casa originaria. Non stupisce che Gorz, padre fondatore dell’ecologia politica, parli della <<cura dell’ambiente di vita in quanto esso determina la qualità della vita e la qualità di una civiltà>>. Non è un caso che i richiami sollevati dagli studiosi, negli ultimi anni, abbiano tentato di ridestare il fare impolitico della tecnica, dalla possibilità che la distruzione prenda il sopravvento sul pianeta e sull’uomo. In quest’orizzonte, forse, se alcuni intellettuali fossero stati ascoltati, se le loro proposte fossero state oggetto di scelte politiche ed economiche l’evento pandemico se non si sarebbe potuto evitare, si sarebbe potuto almeno contenere. Ed invece, quanto accaduto è stato il frutto dello svilimento e della marginalizzazione vissuta da alcune voci, che sono state surclassate da nuove figure, non autorevoli, ma molto più riconoscibili ed influenti. Si sarebbe potuto evitare? Difficile a dirlo ex post. Di certo, non si da ora che in natura ogni azione crei una reazione uguale e contraria. Non impariamo, di sicuro adesso, che le scelte della tecnica si ripercuotano sull’umanità.  Dalla seconda metà del Novecento, crollato il mito della tecnoscienza, che considerava ogni innovazione un progresso, e con esso la concezione secondo la quale la storia è un continuo avanzamento sociale e tecnologico.

Finalmente ci si rende conto che le applicazioni tecnologiche hanno degli effetti imprevisti che possono risultare a lungo termine non solo dannosi, ma addirittura catastrofici, per la sopravvivenza degli esseri umani sul pianeta, per l’ambiente circostante, per la qualità della vita e per le forme stesse dell’organizzazione politica e sociale. Da questa consapevolezza, di certo, l’ecologia  risulta essere quella disciplina che coniuga scienza e filosofia, al fine di proteggere la vita, di mettere al sicuro la natura dalle devastazioni tecnologiche e dalla penetrazione della logica utilitaristica del mercato. Nel 2007, pochi anni fa, sul punto di morte, Gorz ha profeticamente paventato i limiti economici ed ambientali  del capitalismo. Infatti, ha colto come le molteplici crisi - climatiche, ambientali, alimentari, finanziarie, siano state causate dal  capitalismo, divenuto incapace di assicurare fisiologicamente la propria sopravvivenza. Quindi come uscire dal corto circuito creato da un’economia incompatibile con l’ambiente? La decrescita proposta da Serge Latouche non sembra una strada lontana dalle soluzioni. Anzi, in qualche modo sposa la medesima scelta proposta dagli scienziati nei mesi del lock down.  Fermarsi. Evitare il superfluo. Chiudere tutto ciò che non fosse prioritario. Latouche denuncia, da parte sua, l’ossessione per la crescita economica. La tecnica e la scienza non possono risolvere tutti i problemi. Ed è stato dimostrato proprio con il sorgere della pandemia da Coronavirus. Sarà proprio uno dei punti che di seguito si vorrà analizzare. Gli intellettuali si sono posti proprio la domanda sulle stringenti correlazioni tra un fare smodato della tecnica ed il virus. Inoltre, gli intellettuali, sui quali ci si soffermerà sono primariamente scienziati, tecnici e virologi. Nuovi punti di riferimento su cui affidare, ed a cui anche la politica ha demandato le scelte di sua primaria competenza. Quindi, riflettere, sugli intellettuali e la pandemia significa cogliere anche, come ambiti del pensiero, della conoscenza, della filosofia non possano più essere lontani dalla scienza, dalla medicina, dall’ecologia, dall’economia, dalla biologia.  L’uomo, del resto, come agente geologico - secondo l’acuta espressione di Neurath -  incide profondamente con il suo comportamento non solo sugli equilibri della natura, ma anche sugli assetti sociali istituzionali. Ormai, di ciò ne siamo consapevoli. Lo sconvolgimento climatico l’alterazione dell’ecosistema hanno conseguenze importanti sulla possibilità di vita per l’uomo nel pianeta. Non è un caso che su questo fronte, anche Chakrabarty abbia affermato la necessità di una sorta di Global urne nell’ambito delle scienze storiche e sociali e della filosofia morale e politica. Gli interventi umani che stanno sconvolgendo il clima e distruggendo gli equilibri del nostro ecosistema sono il segno incontrovertibile che siamo entrati in una nuova epoca geologica. La nuova epoca vede, per la prima volta, l’uomo quale forza geologica con la capacità di agire e modificare i processi fisici fondamentali della Terra. Solo un pensiero globale e planetariao, come la pandemia ha mostrato d’essere, può essere in grado di intrecciare scienze fino ad ora lontane, come geologie , la storia delle specie viventi, la biologia, la sociologia e la storia politica e sociale. Questa visione assolutamente innovativa del sapere rifiuta ogni arbitraria gerarchizzazione ed è orientata a considerare tutte le scienze strettamente connesse l’una all’altra. Possiamo considerarle ciascuna come parti di una scienza unica, seguendo la proposta rivoluzionaria dell’epistemologia cui appartengono Bateson, Morin e Serres. Tutti e tre propongono un modello di stare interconnesso e orizzontale. Serre lo descrive come uno spazio fibrato, o labirintico e oceanico, governato dal dio degli scambi e dei traffici della mitologia greca, Ermes. Questo, di certo, è un modo originale di interpretare l’ermeneutica nell’epoca della comunicazione e della commistione generalizzata dei saperi, delle culture e dei gusti estetici. Gli specialismi disciplinari possono essere superati nella loro pretesa di frazionare arbitrariamente la realtà, per muoversi nella direzione di un’epistemologia della complessità che integri scienze della natura e scienze dello spirito.  All’epistemologia della complessità, per Morin, deve corrispondere un’antropologia della complessità, che respingendo la concezione insulare dell’essere umano sperato dalla natura e dalla propria natura, recuperi l’homo complexus nella sua multiformità delle sue espressioni simboliche, a cominciare dal mito e dalla magia fino alla scienza, alla tecnica, all’arte e alla filosofia.

Per troppo tempo filosofi, rinchiusi nella loro torre d’avorio e seduti a uno scrittoio, hanno teorizzato sui massimi sistemi. Da soli. Ora, dissolte le ideologie del progresso scientifico e del capitalismo, ci siamo trovati senza strumenti in grado di fronteggiare la novità della pandemia. Ecco cosa è mancato: un pensare comune che consenta di fare un buon uso del mondo. Mai come adesso risuonano vive le espressioni proposte dallo scrittore José Saramago allorché dice: “che fare? Dalla letteratura all’ecologia, dalla guerra delle galassie l’effetto serra, dal trattamento delle scorie alla congestione del traffico, in questo nostro mondo si discute tutto. Ma se non sbaglio, se non sono diventato incapace di sommare due più due, è necessario prima che sia troppo tardi, tra tante altre discussioni pure necessarie ed indispensabili, promuovere un dibattito mondiale sulla democrazia e sulle cause della sua decadenza, sull’intervento dei cittadini nella vita politica e sociale, sui rapporti tra gli Stati e il potere economico e finanziario mondiale, su ciò che assicura e che nega la democrazia, sul diritto alla felicità e ad un’esistenza degna, sulle miserie e le speranze dell’umanità e, parlando con meno retorica, degli esseri umani che la compongono, uno ad uno e tutti assieme. Non c’è peggiore inganno che quello di chi inganna se stesso. Eppure, è così che viviamo”. Quindi, quello cui siamo chiamati a fare è ascoltare il nostro mondo, che come suona la campana della torre della Chiesa di Firenze, urlante di cambiamento. Tutti coloro che sapranno rispondere a quest’anelito globale saranno i nuovi protagonisti ed “agenti” di cambiamento.

Dalle pagine seguenti si vorrà mostrare come ripensare il ruolo degli intellettuali significherà ampliare il coro di voci in grado di pensare criticamente ed agire politicamente per il bene dell’umanità, e del mondo quale luogo reale di possibilità e di vita.

C. Fourel (a cura di), André Gorz, un penseur pour le XXIe siècle, La Découverte, Paris 2012.

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