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Perché «quanti sono diventati ricchi di Cristo vedono senza vedere la bellezza indicibile di Dio stesso; ne afferrano senza toccare e ne comprendono senza comprendere l’immagine senza immagine, la forma senza forma, la figura senza figura, varia senza varietà, in una visione senza visione e in una bellezza senza composizione» (Simeone il Nuovo Teologo). Chi dunque si arricchisce di Cristo conosce, nel non conoscere, Dio stesso.
Per essere ciò che vuol essere, il volume offre alcuni materiali per la fede: anzitutto e fondamentalmente, gli appunti di dogmatica che il protopresbitero G.S. Romanidis scrisse nel 1972, appunti – sul mondo e sulla Trinità, su Cristo e sulla chiesa – che rappresentano una sintesi dell’esperienza cristiana, così come è stata pensata e insegnata dal grande e scomodo teologo greco morto nel 2001; ma anche una serie di fitte note, curate dai traduttori, con cui essi intendono in qualche modo fondare o illustrare quegli appunti; un’appendice, infine, redatta dai monaci del monastero athonita di Koutloumousiou, che focalizza il nodo teologico centrale della trasfigurazione, che ha visto, nel XIV secolo, l’oriente e l’occidente ecclesiali schierati su fronti contrapposti.
Se, alla luce di qualche sua pagina, il libro porterà qualcuno a riconoscere la propria infermità, a desiderare la guarigione e ad accogliere, dalle mani del Diouomo, la terapia (volta a fare di lui un cristo amico di Cristo e degli amici di Cristo), esso avrà conseguito lo scopo per cui è stato scritto, tradotto, corredato di altri elementi. Il fine del dogma non è altro che questo.