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L'orrore delle guerre in corso ha riproposto l'affermazione di Eschilo "In guerra la verità è la prima vittima"; eppure questa frase è del tutto insufficiente per descrivere ciò che si può definire il "mare di menzogna" in cui siamo immersi. La censura (totalitaria, unanime e pervasiva) prende due forme: la "censura per rimozione e per occultamento", la più banale, e la "censura per creazione e per narrazione", quella destinata a determinare la con-formazione a un senso comune di accettazione e di consenso alla guerra. Ciò che non si deve far sapere è essenzialmente il rischio, sempre più presente, della guerra atomica, l'apocalisse che Asor Rosa già percepì e descrisse al tempo della guerra in Iraq, e su cui ragionò profeticamente Günther Anders, a partire dalla riflessione su Hiroshima.
Questa situazione va analizzata in rapporto con il generale assetto delle nostre società capitalistiche, dominate dalla informazione/conformazione e, in particolare, dalla pubblicità, peraltro necessaria per compensare (con il consumo coattivo improduttivo) la crisi di sovraproduzione/sottoconsumo. La "nuova Dea" pubblicità (che ha invaso e devastato anche il terreno della politica, si pensi al berlusconismo) segna il trionfo delle modalità persuasive della comunicazione (funzione conativa) che sono – per loro natura – il contrario della critica (funzione metalinguistica), e che non tollerano, né possono tollerare, alcuna critica.
La nuova Dea non solo trasforma il pubblico dei consumatori in oggetto ma crea anche il suo pubblico, determinando una nuova antropologia, la classe/non classe che si può definire la lumpen-borghesia di massa. Tutto ciò rende necessaria la domanda in ordine allo "statuto di verità" vigente in un tale sistema. Di certo risulta completamente obsoleta la tradizionale definizione di verità come corrispondenza fra proposizioni e cose: il dominio assoluto delle immagini (la iconocrazia) vanifica quell'antica definizione di verità sia sul versante del discorso sia da quello della realtà.
Ecco perché la menzogna è più di una possibilità o un destino: essa è una modalità dell'essere, quella che domina questo nostro tempo finale. Lo straordinario dibattito a distanza fra Anders e Lukács, a partire dalla metafora del "Gran Hotel Abisso", addita nel concetto di "prospettiva" la direzione di una riflessione oggi necessaria.